Vai al contenuto

SENZA PIENA E BUONA OCCUPAZIONE NON C’È DEMOCRAZIA

Diffusione dilagante di lavoro povero e precario, aumento costante delle disuguaglianze, crisi di partecipazione democratica. Borghesi: “Riprendere il disegno costituzionale”

 

Andrea Borghesi, Segretario generale NIdiL CGIL, intervistato da Fabiana Martini, host del podcast “Prospettiva democrazia” nell’episodio 8 “Fondata sul lavoro”, risponde alle domande “Qual è lo stato di salute del lavoro dal punto di vista del vostro osservatorio e quali le conseguenze sulla democrazia?” e “In questo scenario quale ruolo potrebbe giocare il salario minimo garantito?”

LO STATO DI SALUTE DEL LAVORO IN ITALIA

Dal punto di vista della qualità del lavoro, diciamo che tutti i dati, al di là di quelli che vengono sbandierati sulla stampa, rispetto all’aumento dei tempi indeterminati ci dicono che in questi ultimi anni non soltanto la quantità del lavoro, ma anche la qualità del lavoro è oggettivamente peggiorata.

Se si parla della presenza dei contratti di lavoro non standard, cioè a termine o part-time, negli ultimi 25-30 anni è aumentata moltissimo, fino ad arrivare oggi a circa il 27% di lavoratori a termine e a circa il 30% di part-time.

Questo fa sì che, di fatto, le quote delle retribuzioni delle persone, al di là del rapporto di lavoro che può essere anche a tempo indeterminato però magari part-time, sono molto influenzate a livello di reddito annuo dalla quantità di lavoro che si può fare, sia dal punto di vista della quantità delle ore che si lavorano (questo è il caso dei part-time), sia dal punto di vista dei mesi, dei periodi, che si lavorano.

Questo è un fenomeno che vale anche per il lavoro autonomo, le statistiche che riguardano la Gestione separata INPS dicono che per i lavoratori autonomi stiamo parlando di redditi medi sotto i 17 mila euro l’anno, con un gender gap, quindi la differenza tra uomo/donna, anche molto rilevante (19.465 per gli uomini, 14.313 per le donne). Questo vale per le partite IVA non iscritte agli ordini professionali, cioè per gli autonomi puri, ancora peggio per i collaboratori coordinati e continuativi con un reddito medio annuo di 8.114 euro lordi.

LAVORO POVERO E PRECARIO, CONSEGUENZE SULLA DEMOCRAZIA

Quindi, si tratta di un fenomeno presente in tutto il mercato del lavoro che fa sì che una quota rilevantissima delle persone che lavorano faccia un lavoro povero. Secondo noi, questo ha molto a che fare con la difficoltà e la crisi della partecipazione democratica, perché poi il primo tema di una democrazia è quello della partecipazione.

E quello che abbiamo visto negli ultimi tempi, da ultimo nelle lezioni regionali, ma anche nelle elezioni politiche, è che c’è stato un aumento importante dell’astensionismo, tanto che potremmo dire che chi si è astenuto è il primo partito italiano. Una serie di studi sia europei sia italiani dimostra che c’è una correlazione tra quantità di reddito percepito e propensione al voto. Evidentemente, uno degli elementi democratici che manca, e che è scritto anche nella nostra Costituzione, è l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze che invece sono molto presenti nel nostro Paese.

In questi anni abbiamo assistito a un aumento delle persone che pur lavorando sono povere, a un aumento dei poveri assoluti e della povertà relativa. Noi crediamo che questi fattori siano molto correlati tra di loro e che invece bisognerebbe riprendere il disegno costituzionale e avere una Repubblica che fa norme che riducano le disuguaglianze, che migliorino la condizione delle persone e che, attraverso il lavoro, rendano le persone cittadini e cittadine.

IL SALARIO MINIMO GARANTITO PUÒ ESSERE UNA SOLUZIONE?

Il salario minimo sarebbe una cosa assolutamente positiva, tra l’altro prevista da un insieme di proposte di legge che sono state presentate dalle opposizioni, parametrandolo rispetto ai minimi retributivi previsti dalla contrattazione collettiva con un pavimento non sfondabile fissato a 9 euro/ora. Quella cifra potrebbe essere un riferimento utile. Cioè, dove la contrattazione è sopra rimane sopra, dove invece la contrattazione è sotto, quel pavimento non sfondabile diventa di fatto la paga sotto la quale non si può essere pagati.

Detto questo, però, se i problemi sono quelli che dicevamo prima, questa è una delle misure, ma non l’unica. Ci sarebbe una serie di cose da fare tra cui una revisione delle norme del mercato del lavoro nel nostro Paese, una diversa redistribuzione fiscale che noi come organizzazioni sindacali chiediamo da tanto tempo, come anche una politica che sia in grado di permettere alle persone che vanno in pensione di avere una pensione sufficiente e dignitosa.

Quindi, ci sono tanti tasti che bisognerebbe spingere sulla tastiera, quello del salario minimo è uno, molto utile e fondamentale anche per cambiare la narrazione che c’è nel Paese. Oggi si dice che il problema è l’offerta del lavoro, che i lavoratori non sono abbastanza qualificati o che non rispondono sufficientemente alle richieste che vengono dalle imprese, mentre noi pensiamo che ci sia proprio un problema di domanda di lavoro, cioè di qualità della domanda di lavoro, sia in termini di qualità dei contratti che vengono proposti, sia in termini di retribuzione.

Faccio un esempio: se io sono un lavoratore con le competenze necessarie per poter andare a lavorare in un’azienda, ma dovrei spostarmi, se ci sono affitti di un certo tipo e la retribuzione non è sufficiente a tenere in piedi quella condizione, alla fine non mi sposto. Quindi, anche quello di cui si parla spesso, cioè il mismatch nel mercato del lavoro, è un problema locale, non nazionale. Può succedere che in un determinato territorio non ci siano certe professionalità, ma a livello nazionale questa cosa non esiste.