SOMMARIO
ToggleDa oggi per tutte e tutti gli iscritti NIdiL CGIL (e non solo) il numero speciale Referendum di èLavoro, la nostra newsletter. "5Sì per cambiare", l'editoriale di Andrea Borghesi.
Il momento è straordinario. È una frase spesso abusata nel linguaggio politico e anche sindacale, ma in realtà è proprio così.
Le vicende internazionali e quelle nazionali consegnano un quadro inedito di criticità da una parte e di opportunità dall’altra.
Quanto sta avvenendo a Gaza in questi giorni con il massacro della popolazione palestinese è un crimine di guerra perpetrato dal governo Netanyahu con azioni genocidiarie nei confronti dei civili, costretti, dentro una sorta di prigione all’aperto, alla fame e agli stenti. Questa situazione, che ormai ha poco o nulla a che fare con quanto avvenuto il 7 ottobre 2023 con l’attacco terroristico di Hamas, avrebbe bisogno di una risposta di isolamento internazionale che invece fa fatica a realizzarsi e di aiuti internazionali alla popolazione martoriata. Se gli Stati Uniti fanno finta che tutto sia normale, anche il governo italiano balbetta nella sua posizione di ancella di Trump e si discosta dalle pur timide posizioni di condanna di Israele formulate dall’Unione Europea.
Lo scenario internazionale è funestato, poi, dalla continuazione della guerra in Ucraina e dall’assenza di una vera soluzione negoziale che non riesce a prendere forma.
L’Unione Europea, nata sulle ceneri di secoli di guerre intestine, in questo scenario, nel mentre conferma le politiche di austerità che riducono i margini della spesa sociale degli Stati, promuove il riarmo – peraltro dei singoli Stati e non di una difesa comune – anche come scelta di rilancio industriale. Un’opzione miope, che oltre a minare le fondamenta dell’Europa come luogo di pace e prosperità, mette le basi per futuri conflitti. L’Italia rischia di finire nella posizione del soggetto più debole, alla periferia del mondo sviluppato. cercando di ritagliarsi un ruolo da comprimario nell’alleanza con il colosso statunitense. Il governo Meloni, che ondeggia a livello internazionale tra la fedeltà a due “padroni”, l’UE e gli USA, a livello nazionale conferma le scelte di politica economica che da anni combattiamo come CGIL.
L’Esecutivo ignora i dati sulla produzione industriale in calo da 26 mesi consecutivi con tutto il portato di crisi e licenziamenti collettivi mentre si rallegra dei dati sull’occupazione che segnano un più per qualche migliaio di persone. Oltre alle modalità di calcolo occupati/disoccupati che potrebbero falsare il dato (i lavoratori in procedure non sono conteggiati e basta avere una settimana di lavoro per essere conteggiati come occupati), a sconfessare il trionfalismo sono i dati su salari e compensi e quelli sulla povertà.
Nell’ultimo studio recentemente pubblicato, la CGIL ha evidenziato che oltre 6 milioni di lavoratori e lavoratrici italiani (quasi il 36% di quelli dipendenti del settore privato) hanno percepito per l’anno 2023 un reddito sotto i 15 mila euro lordi; l’Inps ha pubblicato i dati degli iscritti alla Gestione separata nel 2023 rilevando per i professionisti compensi lordi medi di poco superiori a 17.500 euro e per i collaboratori pari a poco meno di 11mila euro lordi; l’Istat ha certificato per il 2024 che 11 milioni di persone sono a rischio povertà (poco meno del 19% della popolazione) e oltre 2 milioni e 700mila individui (4,6% della popolazione) risultano in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale. Andando a scavare si coglierebbe che ad essere maggiormente penalizzati dal punto di vista dei redditi/compensi sono le donne per l’incidenza importantissima del part time (in buona parte involontario) e i giovani per l’incidenza di lavoro a termine, collaborazioni autonome occasionali o, peggio, di stage e tirocinii in sostituzione di lavoro vero.
La realtà delle condizioni materiali del paese emerge in tutta la sua drammaticità con l’aumento delle diseguaglianze economiche e sociali e la crescita del lavoro povero di bassa qualità, mentre parte dei contratti collettivi nazionali o non si rinnova, come quelli dei pubblici (eccetto quello al ribasso delle funzioni centrali non sottoscritto dalla CGIL) per insufficiente finanziamento da parte dello Stato, oppure le trattative sono al palo per volontà datoriale (vedi i meccanici).
Il Paese avrebbe bisogno di politiche a sostegno dei salari e di politiche industriali che migliorassero la domanda di lavoro, cioè la qualità dei prodotti e servizi del sistema Italia. Come dimostrano i dati sui salari infatti, milioni di lavoratori e lavoratrici sono impiegati in attività, settori e produzioni a basso valore aggiunto.
Niente di tutto questo è all’ordine del giorno della coalizione guidata da Giorgia Meloni che si preoccupa invece di varare un Decreto Sicurezza con il quale mettere la sordina alle voci di dissenso e limitare gli spazi alle iniziative di protesta e di conflitto sociale democratico e non violento.
In questo contesto e dentro la campagna per i Referendum, la CGIL e la nostra categoria continuano a fare il proprio mestiere sindacale. In questo numero speciale diamo conto del lavoro fatto da NIdiL in questi ultimi mesi, dal rinnovo del CCNL della somministrazione lavoro arrivato alla stesura del testo, al percorso fatto per la predisposizione di una piattaforma per una trattativa con le aziende del food delivery, alla mobilitazione di lavoratori e lavoratrici della cultura, ad un’analisi della situazione occupazionale con uno sguardo di genere.
Troverete anche un paio di approfondimenti particolarmente rilevanti: il caso di una lavoratrice somministrata licenziata in gravidanza che ha ottenuto dal giudice il riconoscimento di un’azione discriminatoria da parte dell’azienda e il racconto della straordinaria e vittoriosa lotta dei lavoratori della Giuliani Arredamenti. Nel lasciarvi alla lettura per un approfondimento, segnalo soltanto alcuni aspetti di quest’ultima vicenda: lo sciopero non nasce dall’annuncio di una chiusura o di una riduzione di personale da parte dell’impresa; chi ha condotto la mobilitazione era in una condizione di forte ricattabilità contrattuale, tutti i lavoratori erano in somministrazione e immigrati. Per questo l’abbiamo presa a simbolo di questa fase nella quale i cittadini italiani vengono chiamati alle urne da una parte per ridurre la precarietà e ripristinare qualche elemento di equilibrio normativo tra capitale e lavoro e, dall’altra, per rendere possibile il riconoscimento della cittadinanza a lavoratori e lavoratrici immigrate dopo cinque anni di residenza stabile.
Settantanove anni fa i cittadini e, per la prima volta, le cittadine italiane si recavano alle urne per il referendum istituzionale per scegliere tra Repubblica e Monarchia. Fortunatamente, scelsero la prima opzione e liberarono l’Italia da casa Savoia, aprendo il percorso che portò alla Costituzione repubblicana.
Cinque Sì al Referendum di 8 e 9 giugno sono la risposta più giusta alla condizione del Paese, sono la riaffermazione della volontà popolare, il miglior modo per rimettere al centro il Lavoro, singolare collettivo.
Andrea Borghesi
Segretario Generale NIdiL CGIL Nazionale