SOMMARIO
ToggleMobilitazione permanente contro Governo e per ricostruire una speranza per il mondo del lavoro. Andrea Borghesi, segretario generale NIdiL CGIL all'assemblea nazionale dei delegati e delle delegate CGIL
“L’intelligenza del lavoro per un nuovo modello di sviluppo e per fermare i licenziamenti“, è il titolo dell’Assemblea nazionale dei delegati e delle delegate della CGIL che si è tenuta il 6 novembre scorso, e che ha visto riuniti al Teatro Gaber di Milano 1.500 lavoratrici e lavoratori. Sul palco, per NIdiL CGIL, il segretario generale nazionale Andrea Borghesi e la delegata di Lodi, Arianna Prandi.
Intervento di Andrea Borghesi
Care compagne, cari compagni,
a proposito delle cose da dire, come diceva il compagno appena intervenuto, io vi parlerò di un caso che sta succedendo in questi giorni in un’azienda che si chiama LFoundry di Avezzano, in Abruzzo, non perché sono nato lì, ma perché, in realtà, è emblematico della discussione che stiamo facendo oggi e di che cosa sta succedendo nel mondo del lavoro.
VERTENZA LFOUNDRY DI AVEZZANO EMBLEMATICA DI COSA STA SUCCEDENDO NEL MERCATO DEL LAVORO
LFoundry è un’azienda di semiconduttori, un’azienda metalmeccanica, azienda importante, una delle poche produttrici italiane di semiconduttori, che ha dichiarato al Ministero delle imprese, a fine mese scorso, un piccolo rallentamento produttivo, e le proposte che fa, su come affrontare questo rallentamento produttivo sono le seguenti: ridurre alcuni super minimi, ridurre le maggiorazioni di turno, rivedere alcuni aspetti tra internalizzazione ed esternalizzazione di personale e, dulcis in fundo, eliminare al 31.12.2024 i cento lavoratori somministrati che ha a disposizione a tempo indeterminato.
Non propone praticamente nessuna modifica di processo o di prodotto, propone esclusivamente ricette legate a una riduzione delle condizioni dell’occupazione in quel sito, senza neanche prevedere l’apertura di ammortizzatori sociali e, quindi, di elementi che potrebbero permettere, comunque, la continuità occupazionale.
Lì si sta scioperando: Fiom, Fim Uilm e le categorie dei lavoratori somministrati, NIdiL, FeLSA e UILTemp, e vedremo come andrà questa partita. Come dicevo, però, è emblematica di quello che succede nelle aziende, nell’industria in particolare, e di quello che potrebbe succedere, compagne e compagni, nei prossimi anni.
Ne parlo perché qui siamo in un’assemblea dei delegati delle delegate nazionali, oltreché, appunto, delle strutture, e credo che su questo versante, ci sia un allarme evidente, alla luce di ciò che già avviene ma anche alla luce di ciò che potrebbe avvenire con gli effetti del collegato lavoro.
I RISCHI DEL COLLEGATO LAVORO
Il collegato lavoro si muove su due versanti: uno aumentando le possibilità di utilizzo di lavoro in somministrazione – ci verrò – e dall’altra parte allargando la possibilità dell’utilizzo del lavoro autonomo; tutte e due cose che di fatto costituiscono per l’organizzazione sindacale, per noi e per tutto il movimento sindacale, diciamo, una forma di arretramento e di abbassamento delle proprie capacità di risposta.
Il collegato lavoro permette alle aziende di utilizzare i lavoratori assunti in somministrazione con un contratto a tempo indeterminato fuori dalle percentuali previste dai contratti collettivi. Questo sottrae alla contrattazione che ciascuno di noi fa, che ciascuno di voi fa nelle aziende, sia a livello nazionale sia a livello aziendale, un pezzo della possibilità di controllare l’assetto del mercato del lavoro interno e, probabilmente, potrebbe provocare degli effetti paradossali per i quali, a determinate condizioni, le imprese potrebbero avere essere aziende senza lavoratori diretti ma con tutti i lavoratori esterni, con gli effetti che si possono vedere anche in questo caso di LFoundry.
Il secondo punto per cui questa partita è emblematica di ciò che sta succedendo è che l’azienda non propone nulla dal punto di vista del processo e del prodotto, per provare, come dire, ad affrontare questo piccolo momento di difficoltà, ma si affida, appunto, esclusivamente, a elementi occupazionali. Io non so il Governo che cosa farà, ha aperto un tavolo ed è evidente che quell’azienda potrebbe rappresentare uno dei settori nei quali provare a investire dal punto di vista verticale per mantenere la forza lavoro e per creare buona occupazione.
Ho tralasciato, ma lo dico ora, che la condizione di quei lavoratori somministrati ad Avezzano non è una condizione di un anno, due anni, tre anni: quelli sono lavoratori che stanno lì da 5, 6, 7, 8,10 anni, in alcuni casi hanno avuto la prima missione 17 anni fa, quindi non si tratta di staccare un pezzo di occupazione a termine e dire “vabbè sono finite le condizioni, il picco è finito e oggi si torna dove eravamo”, non siamo lì.
ASSENZA DI POLITICHE INDUSTRIALI
Dicevo, c’è assenza di politiche industriali, qui vengo a molte cose che diceva anche Pino Gesmundo nella sua importante relazione in riferimento all’assenza di politiche industriali, anche secondo quello che alcuni economisti dicono (io non sono economista, però qualcosa l’ho capita): dobbiamo smetterla (mi pare che fosse nelle cose che diceva anche Pino) di fare politiche industriali che guardano orizzontalmente e che spandono su tutte le imprese incentivi per l’occupazione non mirati. Guardate, questa roba è stata fatta negli anni.
Noi abbiamo speso, da Renzi in poi, decine di miliardi di euro ogni anno sul bilancio dello Stato per fare, come dire, questo tipo di operazioni che hanno portato a un miglioramento occupazionale limitatissimo e alla redistribuzione delle ore lavorate, che sono diminuite perché divise tra un numero maggiore di lavoratori. Così si spiega anche l’aumento dell’occupazione che ci viene sbandierato come un grande risultato.
Gesmundo ha giustamente ricordato che ci sono alcune cose da fare, delle richieste che facciamo, cose che si potrebbero e dovrebbero fare con un grande investimento europeo, altre invece anche dentro i margini stretti del bilancio nazionale. È evidente che se tu nell’arco degli ultimi anni hai speso decine di miliardi per fare delle politiche di incentivazione che non hanno portato né a un miglioramento della qualità del lavoro nelle imprese e né a un miglioramento della qualità dell’occupazione, evidentemente quelle risorse c’erano e io credo che noi questa cosa la dobbiamo iniziare a dire: le risorse non sono solo quelle che puoi trovare con l’aumento del debito come si è fatto durante la pandemia, ma le risorse ci sono perché si possono rivedere e rimodulare le modalità di incentivazione che noi abbiamo subito in questi anni.
IL MISMATCH LAMENTATO DALLE IMPRESE VS QUALITA’ DELLA DOMANDA DI LAVORO
Gli economisti, appunto, un’altra cosa che ho capito, ci dicono “non si può parlare soltanto dell’offerta di lavoro, cioè del lavoro e della sua qualità e delle competenze dei lavoratori, ma si dovrebbe parlare anche della domanda di lavoro e cioè di quello che le imprese propongono ai lavoratori quando li assumono”. Qui c’è un altro tema su cui invito un po’ tutti noi ad essere cauti certe volte, perché sento, anche nella discussione interna, che questo tema viene proposto. Le imprese dicono “mancano i lavoratori, c’è il mismatch tra quello che dovrebbero essere le competenze del lavoro e la proposta che viene fatta dalle imprese, cioè la qualità della domanda.” Forse in qualche caso c’è, ma in realtà, in molti altri casi, si tratta di condizioni salariali indecenti che magari non permettono al lavoratore di un territorio di spostarsi in un altro. Quindi, il mismatch è anch’esso figlio di una cultura neoliberista, dell’azione esclusivamente sull’offerta e sulla colpevolizzazione dei lavoratori considerati sempre inadeguati.
MOBILITAZIONE, LOTTA E LAVORO
Finisco, avrei voluto dire altre cose ma finisco qui per ragioni di tempo. Abbiamo di fronte, compagne e compagni, lo sciopero del 29 novembre e la campagna referendaria, che sono due parti della stessa mobilitazione e su questo versante credo che non solo dobbiamo chiedere ai nostri delegati, tra le tante cose che fanno, uno straordinario e ulteriore impegno. Questo nell’ottica che, nel momento in cui mettiamo insieme la mobilitazione e la campagna referendaria, stiamo provando ad essere all’altezza dello scontro che ci viene proposto e che ha le dimensioni e la potenza delle cose che ci sono state dette qui, oggi, nelle relazioni di Gesmundo e di chi è intervenuto. Non si tratta, quindi, soltanto di sconfiggere le politiche del governo Meloni, ma, come giustamente si diceva, si tratta di ricostruire le condizioni per una speranza per il mondo del lavoro. Grazie.