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COLLABORAZIONI. Ma… esistono ancora le co.co.co.?

Da qualche tempo una domanda viene posta in maniera insistente sui giornali e nei dibattiti: “Ma le collaborazioni coordinate e continuative, dopo le ultime novità legislative, esistono ancora?” Partiamo da un assunto: si, le co.co.co. possono ancora essere stipulate.

Cinquant’anni di Co.Co.Co.

Le collaborazioni coordinate e continuative si sono diffuse all’interno del nostro mercato del lavoro a partire dagli anni ’70 dopo  aver avuto una specie di riconoscimento giuridico nella legge del 1973 che riformava il processo del lavoro. Con quella legge si estese il rito del lavoro anche a quelle prestazioni di tipo autonomo che presentavano alcune caratteristiche (la continuità, il coordinamento rispetto all’attività del commiuttente) analoghe a quelle del lavoro subordinato; infatti fra le varie espressioni per definirle fu usata quella di lavoro parasubordinato.

In mancanza di una disciplina di legge organica è stata la giurisprudenza nel corso degli anni a specificare i requisiti della collaborazione coordinata e continuativa. A partire dagli anni ’90 si assistette ad un ampio abuso delle collaborazioni da parte delle imprese, sostanzialmente per sfuggire ai costi del lavoro subordinato. Con la riforma pensionistica del 1995, a fronte di un modesto contributo previdenziale versato alla Gestione Separata dell’Inps (il 10% dei compensi) venne reso possibile che migliaia di giovani (e non solo) lavoratori e lavoratrici entrassero nel mercato del lavoro senza avere effettive garanzie e tutele.

La Legge Biagi e le Collaborazioni a progetto

Con la legge n. 30 del 2003 (cosiddetta Legge Biagi)  – e il suo decreto legislativo di attuazione n. 276/03 – si tentò (senza successo) di arginare l’abuso crescente delle collaborazioni attraverso la loro riconduzione a dei progetti specifici ben definiti.
Furono create le collaborazioni a progetto (co.co.pro.) e furono introdotti alcuni minimi diritti per chi lavorava con questa tipologia contrattuale (contratto scritto, compenso, maternità, malattia, infortunio, tutela in caso di abusi ecc.).

Tuttavia, le collaborazioni a progetto non sostituirono del tutto le collaborazioni coordinate e continuative. Le co.co.co potevano essere stipulate ancora nelle pubbliche amministrazioni, nell’ambito dello sport dilettantistico, per le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione a un albo, per gli agenti e rappresentanti di commercio e per i componenti di organi di amministrazione delle società. Dopo alcune modifiche migliorative alla disciplina delle co.co.pro. introdotte dalla riforma Fornero, si giunge al Jobs Act.

Il Jobs Act e la collaborazione organizzata dal committente

La riforma del 2015 cancella in un colpo solo i contratti a progetto, ma non elimina le collaborazioni coordinate e continuative. In pratica, la riforma ha reso possibile che le imprese utilizzino le co.co.co vecchia maniera (senza le garanzie introdotte negli anni per le collaborazioni a progetto dalla legge e dalla contrattazione collettiva, ad esempio su obbligo di forma scritta del contratto, compenso adeguato, tutela abusi) in tutti i settori produttivi privati e pubblici.

Si è pensato di rendere più difficile la stipula della collaborazione introducendo la definizione di collaborazione organizzata dal committente contraddistinta, rispetto alla co.co.co., da modalità di esecuzione del lavoro organizzate anche con riferimento ai tempi e ai luoghi di lavoro e a cui si applica la disciplina del lavoro subordinato. L’intuizione si è dimostrata ancora una volta sbagliata: la norma è poco efficace, si assiste solo a una lenta diminuzione nei numeri delle collaborazioni e, anzi, emergono nuove figure di lavoratori coordinati, super sfruttati e senza diritti, come i ciclofattorini che consegnano il cibo a domicilio.

Il decreto Salva Imprese

L’ultimo intervento legislativo sulla materia è di pochi giorni fa; il nuovo Governo ha convertito in legge il decreto legge “Salva Imprese”emanato dal precedente, allargando la definizione di collaborazione organizzata (a cui si applica la disciplina del lavoro subordinato) a chi lavora attraverso le piattaforme digitali e restringendo invece il campo di applicazione della co.co.co. Basterà tutto questo per evitare gli abusi?

Ad oggi, le co.co.co. possono essere stipulate sia nel settore privato che nel pubblico, basta che non siano organizzate dal committente e che siano prevalentemente personali. Anche alla luce dell’ultima sentenza della Corte di Cassazione che ha stabilito che il lavoro dei Riders, seppur in collaborazione, deve avere tutte le tutele previste per il lavoro subordinato, vedremo se le imprese saranno ancora interessate a stipulare rapporti di co.co.co. oppure (come alcune già fanno) preferiranno utilizzare forme di lavoro ancora più precarizzanti come l’autonomo occasionale e le finte Partite Iva, in luogo del lavoro subordinato.

 

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