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LAVORO AUTONOMO. Oggi in povertà, domani rischio pensione

ll 40% di collaboratori e professionisti oggi in povertà e domani a rischio pensione. NIdiL CGIL: rischio disastro sociale.

Roma, 10 marzo 2023 – In Italia, oltre 340mila partite IVA guadagnano mediamente 15.800 euro lordi all’anno, mentre per circa 211mila collaboratori il reddito medio è di 8.500 euro lordi. L’indagine sui redditi dei lavoratori parasubordinati negli ultimi due anni, commissionata da NIdiL CGIL Nazionale alla Fondazione Giuseppe Di Vittorio (FDV), evidenzia ancora una volta che, soprattutto se si è giovani e donne, nel nostro Paese lavorare non basta per vivere degnamente  e non basterà per avere una pensione sufficiente. 

“I dati elaborati da FDV denunciano l’approfondirsi di una crisi dei redditi che accomuna lavoro dipendente e autonomo  che avrà conseguenze pesanti sulla pensione di alcune generazioni di lavoratrici e lavoratori.” – commenta Andrea Borghesi, segretario generale NIdiL CGIL – Dall’altra parte, il lavoro autonomo, anche quando liberamente scelto, rischia di non consentire più un percorso di crescita professionale, ma di lasciare centinaia di miglia di persone troppo invischiate in dinamiche di lavoro impoverito e di vite precarizzate per intere carriere lavorative.”    

Le elaborazioni FDV su base dati Inps descrivono il mondo del lavoro autonomo e in collaborazione dal 2019 al 2021, anni di crisi sanitaria ed economica, al termine della quale abbiamo contato quasi un milione e mezzo di parasubordinati, il 69,6% collaboratori e il 30,4% professionisti. 

Tra questi, coloro per cui il reddito parasubordinato è l’unica entrata sono quasi il 40% e di essi 211 mila sono collaboratori a progetto, coordinati e continuativi e presso la PA (che chiameremo collaboratori esclusivi), e 341 mila sono professionisti. In questo sottogruppo, composto da mezzo milione di persone, non troviamo solo giovani under 35 che si affacciano al mondo del lavoro, ma anche e soprattutto lavoratrici e lavoratori dai 35 anni in sù. Qui, la classe di reddito fino a 10 mila euro raggruppa il 74,2% dei collaboratori esclusivi e il 50,3% dei professionisti esclusivi.

I dati

Il reddito medio dei collaboratori esclusivi nel 2021 è stato di 8.500 euro lordi, 11 mila per gli uomini e 7 mila per le donne, che costituiscono il 60% del totale. La fascia di età fino a 34 anni rappresenta il 48,4% e guadagna in media 5.700 euro, mentre gli adulti da 34 a 64 anni sono il 49,3% e guadagnano 11 mila euro lordi all’anno. I senior, oltre 65 anni, sono il 2,3%, con un reddito lordo annuo di quasi 15 mila euro.

I professionisti esclusivi nel 2021 hanno guadagnato 15.800 euro lordi, 18.400 gli uomini e 13.200 le donne, che sono circa la metà. Le partite IVA under 34 anni sono il 33,4% e guadagnano mediamente 12.300 euro lordi l’anno, tra i 35 e i 64 anni sono il 63,7% e hanno un reddito lordo medio di 17.600 euro. Infine, gli over 65 sono il 2,9% del totale e dichiarano circa 18.300 euro lordi.

Effetti sulla pensione

Se è vero che in un sistema puramente contributivo è lo specchio della carriera lavorativa in termini di stabilità e qualità e quantità del reddito e, conseguentemente, dei contributi previdenziali accumulati, i dati della Gestione separata Inps confermano un trend allarmante che oggi pesa sulla sopravvivenza e domani peserà in maniera significativa anche sulla pensione della vasta platea di collaboratori e professionisti esclusivi.

Nel 2021 l’85,1% dei collaboratori e il 66,1% dei professionisti esclusivi, infatti, non ha raggiunto i 15.953 euro di minimale contributivo richiesto, che avrebbe assicurato un anno pieno di contribuzione. Nel 2023 sarà ancora più difficile, tenuto conto che la rivalutazione del minimale, scontando gli effetti della super inflazione del 2022, ha fissato la soglia a 17.504 euro.

A questo ritmo raggiungere gli attuali requisiti di accesso alla pensione di vecchiaia in termini di anzianità lavorativa (20 anni di contribuzione), età (67 anni), un  importo mensile di pensione pari almeno a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale, potrebbe essere una rincorsa impossibile.

Le possibili soluzioni

“Per evitare il disastro sociale incombente – conclude Borghesi – bisogna agire su un mix di interventi: regolazione del mercato del lavoro che riduca le tipologie contrattuali, un salario minimo valevole per tutti agganciato a minimi previsti per analoga professionalità dai CCNL anche nella forma dell’equo compenso, ammortizzatori sociali universali che coprano in maniera equa il rischio disoccupazione e altri eventi come malattia, infortunio, maternità; sostegno ai percorsi di formazione di aggiornamento e/o riqualificazione professionale  e una pensione contributiva di garanzia (Pcg) che assicuri trattamenti pensionistici dignitosi. Non è con l’intervento fiscale, la flat tax, come sta facendo il governo, che si risolvono questi problemi”.